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È venerdì e sono in viaggio verso il Convegno dei Presidenti diocesani, degli Assistenti unitario diocesani e delle delegazioni regionali di Azione Cattolica, dedicato all' approfondimento degli Orientamenti per il triennio 2024-2027 "Voi stessi date loro da mangiare".

Fuori dal finestrino del treno, la campagna romana mi suscita un misto tra nostalgia e sollievo, pensando al passato non troppo lontano nella capitale e a quanto era diversa per me la vita meno di dieci anni fa.

Ricaccio i pensieri sul passato pensando al fine settimana e al Convegno. Cosa facciamo in questo triennio? Questa domanda mi accompagna ormai da fine febbraio.

Cosa facciamo? C'è un programma? E quali eventi dobbiamo pensare? C'è la cura delle famiglie, insomma sono una moglie e una mamma lavoratrice, lo so bene che fatica si fa a tenere insieme la famiglia e la vita associativa, dobbiamo fare qualcosa su questo come Ac diocesana... E poi sento forte il richiamo a dire parole di pace, in questo tempo martoriato dalla guerra in cui sembra che a questo orrore ci siamo tutti un po' abituati. Non posso mica dimenticare gli studenti e il desiderio di rivitalizzare il Movimento studenti di AC o il sogno di qualche passo missionario verso il mondo del lavoro. Caspita il prossimo anno c'è anche il Giubileo. Ecco, il triennio è finito, come faccio... non riuscirò a fare niente!

Che cosa dobbiamo fare?

Cosa dobbiamo dare a questa folla che ha fame?

È sabato mattina e nell' auditorium della Fraterna Domus di Sacrofano la prof.ssa Rosanna Virgili svolge la sua lectio sull'icona biblica del triennio. E arriva una prima bordata. Perché mi sto chiedendo cosa dare "da mangiare"? Perché mi sto ponendo il problema di sfamare la folla, come se io ne stessi fuori? Io sono parte della folla, anche io ho bisogno di cibo. La professoressa mi aiuta a mettere a fuoco ciò che in quel momento sta risuonando dentro: prima di pensare a dare da mangiare, occorre condividere la fame, farne esperienza insieme ai fratelli e alle sorelle che mi sono accanto, cogliendo l'opportunità di una fraternità concreta nel bisogno, in ciò che manca.

Mi sento un pochino più serena, anche se quella domanda iniziale torna presto ad assillare. Sono presidente diocesana, da me - beh, non solo da me, questo ce l'ho ben chiaro sin dall' inizio che non sono sola e non sono l'unica, ma sogno e agisco insieme una presidenza e un consiglio! Ma comunque, dicevo - ci si aspetta qualche segnale, qualche risposta.

E io ho solo quei cinque pani e quei due pesci.

Troppo poco per tutti quanti viene da pensare allora ai Dodici, oggi a me. Ma è qualcosa da cui partire, tocca solo capire come.

Qualcosa da mangiare c'è, anche se non basta. Non partiamo da zero, non devo trovare io il punto di partenza per il miracolo, c'è già ed è l'esistente. E io al miracolo ci ho sempre voluto credere. "Voi stessi date da mangiare". Signore mio, dimmi come.

Sono nella Chiesa della Fraterna Domus e sono passate da poco le 19.00, quando è iniziata la Veglia di preghiera con il mandato ai presidenti. Lì, nelle parole del Cardinale Angelo De Donatis, scorgo una carezza per me e per la mia preoccupazione: "Non c'è spazio per soluzioni pastorali lontane dal calore della relazione" e l'Ac deve continuare ad essere un "atrio umile" dove sperimentare il calore dell'accoglienza, il fuoco dell'amicizia.

Il Cardinale ci consegna anche un'altra immagine, quella del Salmo 144: "una generazione narra all'altra le tue opere, annuncia le tue meraviglie". Che mi sta dicendo, Eminenza? Che quest'atrio umile dev'essere popolato da ragazzi, giovanissimi, giovani e adulti, tutti e tutte affamati? Che questo cibo, qualsiasi esso sia, deve trovarci alleati?

Mi sento abbracciata da queste parole, perché raccontano l'Azione cattolica in cui sono cresciuta, quella che mi ha preso per mano da giovane, accompagnando la mia fame e la mia sete. Ascolto la testimonianza della giovane Presidente di Catania, che ci fa riflettere sul concetto di "punto di fatica" secondo la tecnologia dei materiali, e mi viene da piangere.

Troppi stimoli e io ho dormito poco.

O forse quella fame, la mia, sta trovando il cibo giusto nella responsabilità condivisa.

È domenica mattina ed è tempo di dibattito.

Tante idee: mobilità, sostenibilità, più sinodalità, attenzione alle famiglie, percorsi di formazione socio-politica... di nuovo il pensiero delle cose da fare. Questa volta con meno ansia, però, la riflessione di ieri mi ha un po' liberato dall' istinto performante. Ascolto, annoto, mi confronto e imparo. E mi sento grata perché so - l'ho sempre saputo e lo scopro ogni volta di nuovo - che dove non arrivo con le mie forze e le mie capacità ci arriva la Grazia di Dio e l'aiuto dei fratelli. So che voglio mettere in circolo questo bene ricevuto. Prendo l'agenda associativa, scrivo alla Presidenza diocesana. Scatto qualche foto ed è già arrivato il momento dei saluti.

Ora sono in treno e sto tornando.

Scrivo queste righe e non ho ancora risposto alla domanda del viaggio di andata: cosa facciamo in questo triennio? Sapete, non lo so ancora. Ma so che qualsiasi sia il miracolo che faremo nella nostra associazione diocesana, lo faremo leggeri, con gioia e in autentica fraternità. Lo faremo insieme. Lo ha già fatto il Signore il miracolo, chiamandoci e mettendoci a disposizione cinque pani e due pesci. Che buoni.

 

MONICA